ASTERIA
Ottobre 19, 2024

Da Ada Lovelace a Samantha Cristoforetti, sono molte le donne che, lottando contro il pregiudizio, hanno creato i presupposti e contribuito all’esplorazione spaziale, eppure da quando nel secolo scorso si sono fatti i primi voli, solo oggi le donne, hanno sfondato la cappa di vetro conquistando a pieno titolo un posto sulle navicelle spaziali.

Se andiamo a ricostruire le origini del percorso rivoluzionario delle donne, talvolta sconosciute al grande pubblico, che hanno permesso la “conquista” dello spazio ci imbattiamo in tracce che risalgono addirittura all’ epoca tardo-ellenistica (seconda metà del iv secolo), quando la matematica, astronoma e filosofa greca Ipazia di Alessandria, collaborando con il padre, anch’egli matematico e astronomo, scrisse alcune opere di matematica, che le permisero di insegnare nel Serapeo della città. Dalle molte testimonianze arrivate fino a noi, nonostante la carenza di scritti, la sua tragica fine, maturata nell’ambito del conflitto di potere tra il vescovo Cirillo, patriarca di Alessandria, e il prefetto cittadino Oreste, Ipazia è assurta ancor oggi a simbolo della libertà del pensiero scientifico contro il fanatismo religioso.

Molti secoli dopo la contessa di Lovelace, Augusta Ada Byron, meglio nota come matematica Ada Lovelace (Londra, 10 dicembre 1815 – Londra, 27 novembre 1852), acquisì notorietà soprattutto per il suo contributo alla macchina analitica ideata da Charles Babbage (Londra, 26 dicembre 1791 – Londra, 18 ottobre 1871), scoperta che contribuì a ricordarla come la prima programmatrice di computer al mondo, benché alcuni contestino tale affermazione.

E solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, a seguito del confronto geopolitico fra i due grandi blocchi denominato “guerra fredda”, che iniziarono concretamente i viaggi nello spazio e già da subito le donne si fecero onore.

In quel periodo l’informatica statunitense Margaret Heafield Hamilton (Paoli, 17 agosto 1936) ora quasi novantenne, lavorò alla NASA come responsabile dello sviluppo del software che avrebbe guidato le capsule del “programma Apollo” nella navigazione e nell’atterraggio sulla Luna.

Non dimentichiamoci che in uno dei momenti più critici della storia dell’esplorazione lunare, durante lo svolgimento della missione Apollo 11 sulla Luna, le scelte progettuali dal gruppo di Hamilton si rivelarono cruciali garantendo il successo della missione.

Se fino ad allora le donne avevano contribuito da terra alle missioni, la cosmonauta e politica sovietica Valentina Tereškova (Jaroslavl´ 1937) ), unico componente della missione Vostok 6, fu la prima ad essere lanciata verso lo spazio, il 16 giugno 1963 dal cosmodromo di Bajkonur, per orbitare intorno alla Terra tre giorni interi. Vent’anni più tardi, il 24 giugno del 1983, atterrava a Cape Canaveral la missione STS-7, con a bordo la statunitense Sally Kristen Ride (Los Angeles, 26 maggio 1951 – La Jolla, 23 luglio 2012), considerata anche la prima astronauta LGBT+ della storia a causa della sua relazione con la tennista Tam O’Shaughnessy che durò ben 27 anni.

Recentemente il 21 maggio 2023 Peggy Whitson (9 febbraio 1960, Mount Ayr), ex capo dell’ufficio astronauti della Nasa e oggi direttrice dei voli umani di Axiom, è partita a bordo del veicolo Crew Dragon Freedom come comandante della missione spaziale Axiom Mission 2, facendo ritorno il 31 maggio dopo 10 giorni di missione. In Europa tocca a Samantha Cristoforetti, astronauta e aviatrice italiana dell’Agenzia Spaziale Europea. Nata nel 1977 a Milano, ma cresciuta a Malè, vicino Trento, essere messa al comando della Stazione spaziale internazionale.

Per ricordare attraverso il mio lavoro questo rivoluzionario percorso, ho pensato di realizzare assieme alla sarta Amatoriale Lia Malesardi che che vanta una lunga collaborazione con il gruppo Armani, un lavoro di arte contemporanea costituito da una speciale e artistica tuta spaziale dedicata a tutte queste donne. Il lavoro è stato realizzato con un tessuto vintage molto particolare che allude alla leggerezza ed alla femminilità, ritrovato nel corredo di famiglia. Fondo inesauribile di suggestioni e memorie su cui l’artista sta lavorando e di cui quest’opera entra a far parte a pieno titolo.

ASTERIA, una sorta di allegoria o metafora il cui titolo è preso a prestito da un’antica dea delle stelle figlia dei titani Febe e Ceo, presente nella mitologia greca, non è solo una semplice imitazione delle vere tute spaziali, ma allude a qualcosaltro. Nell’estetica aristotelica, il significato di mimesi acquista un connotazione positiva, come imitazione della forma ideale della realtà, per cui l’operare dell’artista diventa simile all’operare della natura, mentre nel nostro caso la forma ideale assume un significato poetico e virtuale in un contesto tecnologico e ideologico che sta mettendo a dura prova il concetto stesso di natura. Non dimentichiamoci che uno dei principali effetti delle missioni spaziali è stato quello di porre la ricerca dei materiali e delle tecniche costruttive, ma anche porre i paradigmi dell’uomo e l’immaginario umano, davanti a sfide ineguagliabili fino ad allora.

Ovviamente si tratta di un’opera artistica che allude e imita le vere tute usate nelle missioni senza alcun fondamento scientifico, anche se il modello preso a prestito. Anche se impossibile da usare, l’opera è una copia esatta che prende a modello una tuta spaziale presente al museo (non originale): contrastando i principi scientifici della fisica e della biologia ASTERIA è stata realizzata con tessuti in “tulle” la cui permeabilità renderebbe impossibile qualsiasi utilizzo umano nello spazio senza ossigeno, con pressione atmosferica anomala e temperature estreme che vanno dai -150°C ai 120°C, inadatte alla vita umana. Ed è proprio questa impossibilita e questa inutilità che trasforma l’oggetto in una sorta di metafora per alludere, con stile ed eleganza eleganza, alla raffinatezza ed alla grazia femminile del dopoguerra che contrastava con le tute e gli scafandri utilizzati in ambienti lavorativi civili e militare, maschile che escludeva le figure femminili.

Se andiamo a leggere la storia dell’emancipazione femminile, dopo la prima ondata concentrata sul ribaltamento delle disuguaglianze legali, in particolare sul suffragio femminile; nella seconda ondata (1960-1980) si è lottato per contro le disuguaglianze culturali, legali e il miglioramento del ruolo di genere delle donne all’interno della società. Non a caso i movimenti che lottavano per l’emancipazione delle donne ebbero uno sviluppo esponenziale nel dopoguerra, soprattutto in America e poi in Europa proprio in quel periodo di grandi innovazioni tecnologiche. Il periodo delle prime missioni (Apollo 11 portò gli astronauti statunitensi, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, sulla Luna, il 20 luglio 1969), ma era anche il periodo in cui la donna era per la maggior parte ancora relegata alla cura della casa e della famiglia, rivendicando un forte desiderio di riscatto anche in quei settori in cui non poteva ancora esprimersi al meglio delle sue possibilità, essendo relegata in posizioni subalterna all’uomo (manifaturiero, rurale e cura della persona). Mentre oggi (anni 1990-2000), a conquiste avvenute, il movimento viene inteso come una continuazione della “seconda ondata” e una risposta alla percezione dei suoi fallimenti che purtroppo creano diverse visioni di ricerca identitaria.

L’opera che in un certo qual modo può dare l’idea di un indumento sexy, col rischio ri rafforzare l’idea della donna “ogetto”, si inserisce in questo dibattito che vede il fenomeno Woke, aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo “stare allerta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Termine, in italiano simile a “politicamente corretto” che peraltro oggi assume in certi ambienti anche una connotazione dispregiativa. Rischi di polarizzazioni che non appartenfìgono all’artista che respinge fin da subito eventuali interpretazioni del lavoro che possono prestarsi a una declinazione di genere errata!

La scelta del tessuto; il modello sartoriale a grandezza naturale ricavato dalle misure di una normale tuta spaziale; la rigidità delle forme permesso da una leggera struttura di fili di ferro e crinoline posti sulle giunture dei vari elementi costitutivi della blusa pongono quest’opera nell’alveo della moda e del costume che comunque in questo settore verte soprattutto su costumi unisex. Innumerevoli sono gli esempi di tute spaziali utilizzate nel cinema soprattutto di fantascienza, ma solo recentemente anche le grandi griffe della moda si stanno occupando di questo settore avveniristico, è ormai entrato nel nostro immaginario contemporaneo segnando un nuovo capitolo nella storia della moda: Pierre Cardin ha creato tute da allenamento per gli astronauti europei, sembra che Hilton stia lavorando su abbigliamento per il turismo spaziale, mentre La maison italiana Prada ha collaborato con Axiom Space per creare le tute spaziali della missione Artemis III della Nasa presentando la nuova tuta perfetta per le passeggiate lunari “AxEMU”, il 18 Ottobre 2024. Un connubio tra stile e tecnologia all’avanguardia, che permetterà agliastronauti di Artemis III, di esplorare il nostro satellite con un tocco di eleganza made in Italy e di andare sulla Luna e incontro al cosmo ( Nicolò Canonico, 2024)

Dettaglio che rende questa missione storica è la partecipazione dell’astronauta statunitense Christina Hammock Koch (Grand Rapids, 29 gennaio 1979) già detentrice del record di permanenza nello spazio per una donna, destinata a diventare la prima donna a camminare sulla Luna. Artemis III, il cui lancio è previsto per il 2026. Evento che dovra riscrivere la storia dell’esplorazione lunare: Citando Armsotrong: «Questo è un piccolo passo per la donna, ma un grande balzo per l’umanità».