Una ferita evitabile
Il crollo del poggio che un tempo sosteneva la Quercia delle Streghe a Sasso di Nogaredo — scomparsa ormai da una decina d’anni — è una sciagura che si sarebbe potuta evitare.
La lapide collocata ai piedi delle grandi arcate indica la data del 1827: fu allora che il basamento venne costruito attorno all’antica quercia, la quale, secondo una ricerca del Museo Civico, aveva già allora più di due secoli di vita. Fonti d’archivio raccontano persino di uno scontro tra le guardie dei Lodron e quelle di Castel Corno nei pressi di una torretta che probabilmente sorgeva proprio in quel luogo.
Oggi, di tutto ciò, restano solo mucchi di pietre e ruderi destinati forse a rimanere lì per sempre. Un danno incalcolabile al patrimonio storico e paesaggistico del territorio.
L’imponente mole del poggio dominava la valle: era un punto di riferimento visibile da chilometri di distanza, un segno forte nello skyline del terrazzamento morenico che sovrasta Marano. Il suo crollo è la perfetta metafora della perdita del paesaggio denunciata da Andrea Zanzotto e da molti altri studiosi: il simbolo di una parabola di sciatteria, indifferenza e incuria che smaschera la retorica e l’ipocrisia di amministratori incapaci e di imprenditori turistici ed enologici che si riempiono la bocca di parole e le tasche di guadagni.

Da decenni le avvisaglie erano evidenti. Numerose le segnalazioni dei contadini e dei residenti ai proprietari e agli enti pubblici preposti alla tutela del territorio. Ma nulla è stato fatto, se non rimpalli di responsabilità tra privati e politici che non hanno mai voluto assumersi il peso dell’intervento.
È, prima di tutto, un problema culturale.
Le continue speculazioni edilizie, che divorano terreno agricolo e riempiono le casse comunali, nascono dal desiderio di una nuova clientela urbana di vivere “immersa nella natura”. Ma questa ricerca di autenticità ignora del tutto la realtà delle pratiche rurali e delle comunità contadine, ormai ridotte a una minoranza fragile e solo in apparenza privilegiata.
Le poche risorse disponibili vengono investite in opere di urbanizzazione — illuminazione, aree sportive, giardinetti, semafori, parcheggi, segnaletica, arredi urbani — spesso inutili e fuori luogo in contesti come questi. Il resto è un deserto di attenzione, un vuoto di cura e di conoscenza.

Lo chiamano “progresso sociale”. Zanzotto lo definiva invece “progresso scorsoio”.
I paesi rurali hanno senso solo se restano tali: altrimenti, tanto vale vivere in città.
A cosa servono le brochure patinate, le foto d’autore di paesaggi da sogno, i tour enologici e i video social di turisti incantati, se poi la realtà — quella vera — è fatta di crolli, abbandono e dimenticanza?

OSVALDO MAFFEI 2 NOVEMBRE 2025
