Il sogno della regina
Giugno 21, 2023

Una storia in tre tappe per ricordare Andrea Alimonta.

Video opera di Stena Alloero, a cura di Osvaldo Maffei, in collaborazione con Arcigay del Trentino.

Per la mostra “IL SOGNO DELLA REGINA, omaggio ad Andrea Alimonta”, con Stefano Alloero, abbiamo scelto un progetto articolato in tre momenti: la poesia, il viaggio e l’arte.

Temperie di quel tempo

Al ritmo della Musica Dance, nel ‘90 epoca in cui è vissuto il protagonista, abbiamo assistito alla demolizione del muro di Berlino (evento internazionale che scacciava le paure della Guerra fredda); nel 1977 al passaggio dalle immagini televisive in bianco e nero ai colori e negli anni successivi ad uno scenario televisivo arricchìto di una terza rete RAI, che anticipò, in un certo qual modo, la rottura del monopolio politico sancito da Rete 4, Canale 5 e Italia 1. Poi ci fu l’avvento dei socials networks, ma questa è un’altra storia.

Mentre questi eventi minarono definitivamente i paradigmi culturali di una cultura “elitaria”, veicolata dai testi e dalle immagini stampate, l’arte contemporanea si misurava con le innovazioni tecnologiche e la video arte pese il sopravvento. Forse tutto cominciò ne 1982 alla WHITNEY MUSEUM OF AMERICAN ART con la retrospettiva di Nam June Paik (1932-2006), l’artista statunitense di origine sudcoreana considerato il padre delle installazioni video. Nel 1984 a Palazzo Fortuny di Venezia l’installazione “Il nuotatore” con ventiquattro monitor sincronizzati, tredici programmi video e musiche originali del compositore statunitense Peter Gordon, stupì il pubblico italiano. Al Centro di Studi Arti Visive di Ferrara di Lola Bonora, amica del critico roveretano Luigi Serravalli, cominciarono ad incontrarsi gli artisti video della arte italiana, fra cui Plessi, reso noto a livello internazionale dalla monumentale installazione Roma a Documenta 8 di Kassel del 1987. LIl videoartista arrivò anche a Rovereto per Festival Oriente Occidente, con le scenografie che creò per Sciame di Enzo Cosimi.

Fino a quando il proiettore non divenne un oggetto di consumo accessibile agli artisti l’arte, la danza, il teatro e soprattutto la performance erano sostanzialmente basate sull’uso dei televisori, infatti allora i proiettori erano relegati nelle sale cinematografiche a causa dei costi.

In Trentino avanguardisti come il regista Francesco Dal Bosco (1955-2019) e l’artista fotografo neo futurista Umberto Postal (1949-2011), assieme a pochi altri, si cimentarono con questa tipologia di arte seguiti poi dalle nuove generazioni di artisti a cui spianarono la strada. Si ricordi la mostra Last Wawe, a cura di Luigi Serravalli, presso lo stabilimento Michelin di Trento, nel 1990, a cui partecipa il sottoscritto con monitor Commodore 64 e Marco Dalbosco con una proiezione video.

Per quanto oggi appaia antico e obsoleto il tubo catodico del televisore e poi il WHS, questi strumenti rimangono la cifra stilistica di quegli anni che guardava al futuro con entusiasmo e fiducia pur consapevoli delle storture di una società già marcia fino al midollo.

Andrea e l’arte

Dobbiamo ammettere che curare la mostra “IL SOGNO DELLA REGINA” in omaggio ad Andrea Alimonta, nei giorni 27-28 giugno, riconosciuti come l’anniversario dei moti di Stonewall del 1969, considerati simbolicamente il momento di nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo, rappresenta una sfida non facile. Le tecnologie della disco music, e i videoclip degli anni ’90, rappresentano un modo per far riaffiorare le tracce poetiche del suo fare artistico ancorando i contenuti agli strumenti di allora, ma anche ad una temperie underground. In quegli anni mitici, “la regina dei sogni”, espresse al massimo la sua creatività spaziando dalla danza nei locali, all’arte visiva alla poesia ed agli spettacoli di cabaret, ma ciò che stupisce maggiormente, sono i video inediti rubati nelle feste di una Rovereto notturna brillante ed inaspettata.

Fu grazie ad alcuni amici come ad esempio Silvano Brugnara, Alessio Kagoi, Francesca Maffei e Giacomo Sega che Andrea cedette al fascino dello spettacolo, declinando col proprio corpo le luci della ribalta, come è documentato in questi rari documenti VHS superstiti.

Immagini in movimento sapientemente reinterpretate da un giovane artista fotografo, collaboratore della rivista Diablerie, Stefano Aloero, che abbiamo accompagnato ad un solo quadro particolarissimo ed alle poesie sonorizzate di Andrea recitate da Alessio Kogoi, assieme a qualche scatto polaroid e al piccolo nucleo di fotografie di viaggio, gentilmente prestate da Mariangela Rocca.

Andrea e il movimento Lgbtqia+

Riguardo al tema drag che emerge prepotentemente in questa mostra, rimando a quanto detto nell’incontro del Dolomiti Pride allo Smart Lab: http://”Andrea Alimonta, la regina ci ha lasciati sognando un sogno”

In quell’incontro è emersa l’importanza del drag nel suo agire sul palcoscenico, un ruolo liminare al movimento Lgbtqi+, ma non per questo meno importante.

Ricordo quanto scrive Emiliano Morreale nella prefazione al volume “Drag, storia di una sottocultura”, che Eleonora Santamaria ha pubblicato nel 2021: “il drag è un movimento di rivendicazione del se e del mondo provocatoriamente impolitico ma che finisce con l’avere conseguenze drammaticamente politiche e si deve muovere con difficoltà tra ogni rivendicazione. Spesso malvisto dagli eterosessuali, dai gay, dalle femministe, in fondo il drag è irrivendicabile politicamente perché, col suo essere performance totale, rifiuta ogni essenzialismo e finisce col minare quello di chi la guarda”.

Il drag, come un certo genere d’ arte d’avanguardia è un atto politico, prima ancora che un fenomeno commerciale e museale, in cui gli artisti diventano pedine di un sistema che esclude chi non ne fa parte (si vedano le recenti dichiarazioni del critico Bonita Oliva, il quale minimizza l’importanza degli artisti che non fanno parte del sistema). Se possiamo ascrivere gli spettacoli drag a delle forme di performance credo però si possa ascrivere questa forma d’arte al fenomeno della street art. Un’arte di strada che fa uso del proprio corpo, non in forma autoreferenziale o narcisistica, ma pubblica, perché l’uso del corpo in questa espressione – tipicamente legata alla poetica omosessuale – si inscrive in un contesto di lotta di rivendicazione e conquista del diritto di esistere.

Sono convinto che Andrea, per quanto inconsapevole, possa essere “arruolato a pieno titolo” in quella squadra di combattenti per i diritti fino ad ora poco considerat*: le drag Queen, come sostiene infatti Rau Poll, rappresentano il corpo dei marines a confronto con l’esercito degli attivisti Lgbtqia+, perché anche il più ruvido dei marines può avere un cuore che batte e che a volte sa scrivere poesie. L’arte, il viaggio e la poesia trovano in Andrea il loro comune denominatore nel profondo desiderio di allargare i confini della propria consapevolezza attraversando le geografie dei corpi e dei luoghi in cui perdersi, attingendo a piene mani e riempiendo gli occhi di bellezza e poesia.

Queste azioni nascono oltre i contesti convenzionali, quali il museo e le gallerie, ed entrano negli interstizi della vita urbana, con i desideri e le trasgressioni tipiche degli artisti di strada. Andrea nel 1990, partecipa attivamente assieme a Lucio Sartori e alcuni compagni alla realizzazione del grande murale del sottopassaggio della stazione dei treni, ora scomparso.