“Le cornici” di Federico Zanolli (1922-2008)
Settembre 16, 2019

Come avrebbe potuto essere così robusta la facciata del tempio senza l’esile bambù del ponteggio che è servito alla sua costruzione?

La mostra propone alcuni oggetti bricolage realizzati da Federico Zanolli nato nel 1922 a Dosso, Porte di Tranbileno TN: cornici e scatole realizzati con listarelle di legno pressate e incollate una sull’altra. Possiamo immaginare la mostra come un vuoto da riempire, come un gioco di scatole cinesi in cui il contenuto qui proposto è anche il contenitore, il quale a sua volta può contenere qualcosa che sarà il pubblico ad immaginare. Nel senso comune l’esecutore della cornice è definito artigiano mentre l’altro invece è un artista, anche se i ruoli possono essere intercambiabili come abbiamo già visto nella mostra “IL mestiere dell’arte”, sulle stampe di Maurizio Marinelli, esposte nel 2016 in relazione alle loro matrici.

L’idea di esporre contenitori anziché contenuti nasce dalla suggestione che il significato delle due parti si può confondere. Quando le cornici sono fatte molto bene anche il loro rapporto di valore può essere ambiguo, infatti capita talvolta che la cornice abbia più valore del quadro e che questa “soglia” che li divide non permetta di distinguere la differenza: celebre il Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti conservato nella cornice originale, probabilmente disegnata dallo stesso.

Nell’arte sacra le porte e le cornici barocche in marmo e metalli preziosi superano in magnificenza e valore simbolico tutto il resto celando priorità estetiche dell’uno sull’altro; le famose copertine d’argento delle icone ortodosse ne sono un esempio eclatante. Come si fa a dire che l’altare maggiore ad opera dei fratelli Cristoforo e Sebastiano Benedetti da Castione nella chiesa di Villalagarina sia meno bello della pala con l’Assunta dipinta da Nicolò Dorigati?

Nel senso comune l’esecutore della cornice è definito artigiano mentre l’altro invece è un artista, ma noi non siamo così convinti: i ruoli possono essere intercambiabili. Lo abbiamo già visto nella mostra di Maurizio Marinelli sulle stampe esposte in relazione alle loro matrici.

Seppur sia difficile definire Federico Zanolli un artista convenzionale, egli dimostra una maestria ed una creatività che non ha nulla da invidiare alle arti più nobili. L’impegno ed il virtuosismo spesso sono già sinonimo di “artisticità”, ma egli oltre a questo ha una biografia che lo distingue: nato alle porte della Vallarsa si è formato all’inizio del secolo scorso alle scuole elementari che gli hanno fornito una solida formazione “asburgica” (ricordo ancora con emozione alcuni suoi quaderni che dimostrano come in quinta sapeva già misurare il volume di una botte). La prassi manuale derivante dalla cultura popolare contadina, poi rafforzata nel lavoro in fabbrica, gli hanno dato ottime competenze procedurali. Ma credo che sia stato l’incontro con culture diverse durante la guerra, e soprattutto la prigionia, in luoghi che spaziano dal Nord Africa al Regno Britannico, a fornirgli quel di più che lo rende così originale. Egli apparteneva alle Unità Italiane di servizi nell’Armata americana ed ha lavorato in favore degli Stati Uniti d’America dal 1943 al 1945 fra Africa del Nord, Inghilterra, Francia e Germania. Come molti altri soldati e prigionieri per far passare il tempo e magari sconfiggere il senso di oppressione produceva oggetti di rara bellezza e pazienza, altri esempi come questi sono conservati nei musei della guerra. C’è un taccuino nel suo archivio personale con alcune note e schizzi che dimostrano la sua dimestichezza con il disegno. A ben guardare, ritroviamo nella sua mano e nelle geometrie dei suoi lavori: simmetrie, specularità, geometrie raffinate che non possiamo banalizzare come decorativismo.

C’è un taccuino nel suo archivio personale con alcune note eschizzi che dimostrano la sua dimestichezza con il disegno. A ben guardare, ritroviamo nella sua mano e nelle geometrie dei suoi lavori: simmetrie, specularità, geometrie raffinate che non possiamo banalizzare come decorativismo. Come molti altri soldati e prigionieri per far passare il tempo e magari sconfiggere il senso di oppressione produceva oggetti di rara bellezza e pazienza, altri esempi come questi sono conservati nei musei della guerra.

Inoltre, pur inconsapevolmente egli era perfettamente allineato a quel “movimento” artistico che Lea Vergine ha inaugurato a Trento con la mostra dal titolo: Trash. Quando i rifiuti diventano arte del ’97. Infatti il materiale proveniente dal riciclo delle casettine della frutta, che lui usava per i suoi lavori, ci fa riconoscere in lui un precursore di quell’ economia circolare tanto in voga fra gli ecologisti e verdi di oggi. Un segno caratteristico, quello del riuso, presente nella esperienza di ogni contadino del secolo scorso, caratterizzato da un’economia di sostentamento, del tutto naturale e quotidiano. Nulla andava buttato!

Per concludere, una nota sull’allestimento che rafforza la componente creativa quasi zen delle cornici vuote evidenziando il loro valore ed il ruolo. Generalmente la cornice con il suo corpo sancisce indelebilmente un limite fra l’interno e l’esterno di uno spazio dipinto, potrebbe rappresentare il nostro essere, la maschera, lo status symbol, il corpo, la pelle o quella soglia indefinita che distingue l’esperienza del mondo conosciuto dall’inesperienza del dubbio, il controverso distinguo tra l’io e il . Che sarebbe di noi se non esistessero i limiti? Il limite fisico fra il quadro e il mondo è dato dalla cornice, ma il senso delle cose travalica tutto ciò come uno tsunami.

Molto spesso sottovalutata, irrisa ed alla mercé della vorticosa altalena delle mode, vorrei ricordare che la cornice è si al servizio dell’opera, ma la sua complementarietà la rende indispensabile quasi come è indispensabile il ponteggio che usano gli operai per costruire gli immobili.