ideata da Osvaldo Maffei
a cura di Marco Galvagni con Cristiana Pivari e Adriano Frisanco

15-27 settembre 2025
Museo della Città
Rovereto – via Calcinari 18
PASSIONI SENZA SPAZIO
Un pesce non è mai fuor d’acqua. Cosa porta due ragazzi che indossano le infradito, canne da pesca in spalla, a superare al calare della sera le ringhiere di un accesso vietato per poi scendere nel corso, benché precluso, d’un torrente, in una delle aree pubbliche e acquatiche più fotografate della città?

La risposta potrebbe essere una realtà nascosta.
Osvaldo Maffei si pone e pone ai visitatori la domanda, misurandosi con le immagini dei trofei: la rappresentazione popolare e spontanea di un nucleo complesso di relazioni e di sentimenti che in quanto nucleo, al contempo fluido e denso, risponde immediatamente a una platea più vasta dei singoli appassionati. Così facendo lancia la rete, a suo modo provocatoria, che oggi a ben guardare interessa tutti.
Il significato dell’esibire e dell’esibirsi, le strategie della memoria, quali sensazioni possono suscitare le pratiche e gli strumenti propri a un contesto definito, ma non meno intimo, rispetto alla società e alle sue evoluzioni: sono alcuni spunti impliciti nell’estrapolazione di un repertorio di campioni scartati, sul momento irripetibili, e la ripetizione di differenti modi di riprodurre la conoscenza. A che fine? Meglio a che fini.
La ricerca inizia dalla donazione di un fondo fotografico appartenuto a un negozio di pesca sportiva (Sampei) condiviso dai primi anni ’90 in poi dai pescatori lagarini. Il centro della rielaborazione estetica diventano le istantanee della bacheca esposta per trent’anni in pubblico all’esterno dell’esercizio ormai chiuso per sempre. Mimando un archeologo della contemporaneità, Maffei accompagna ai ritratti un racconto, materiali e corpi, coppe, trofei e campioni delle specie ittiche ricostruiti in pelle dal tassidermista, già collaboratore del Museo Civico, Danilo Confortini (1928-2001), unendo i pezzi e i reperti raccolti fra il 1990 e il 2022 nell’emporio dal titolare Rolando Turri e oggi conservati dall’Associazione Pescatori Dilettanti Vallagarina.
L’installazione interpreta nelle apparenze dei tratti distintivi, invita a chiedere a chi guarda, a chi è ritratto, a chi ritrae le sue emozioni, che cosa prova. In una metafora, esige un’uscita (vanità) dalla superficie (liquide), come fanno alcuni pesci portandosi fuori dall’acqua. Il moto individuale suggerito è un sentire che oscilla fra potenziale ammirazione e sdegno, potenziali piaceri e repulsioni nei confronti della predazione. In Sampei l’artista vi lega un bacino di informazioni mancanti, non condivise, o non condivisibili materialmente. In quel vuoto c’è l’amo doloroso della storia (si veda il racconto I pesci pescati di Giacomo Sartori), non ineluttabile, forse irriducibile (la rielaborazione dell’atto cruento sotto varie sembianze), di un gesto con cui l’uomo impone un dominio e insieme rivendica un primato nel mondo animale e naturale. Non c’è violenza e c’è violenza tanto nelle abitudini quanto nelle edificazioni, e osservandole con distacco, nell’espressione della nostra quotidianità.
Lungo il percorso indicato, Maffei lascia alcune tracce dell’operazione artistica compiuta, non così lontana dalle prati
che di rappresentazione e relazione con la “natura” immortalate dagli anonimi autori. Si affida da una parte alla censura dei volti, per ragioni sì, stringenti, ma (non) solo a prima vista legate alla tutela della privacy, collaborando con il fotografo Adriano Frisanco. Le immagini scattate vengono se-le-zionate, ingrandite, filtrate, stampate, incorniciate e riprodotte ognuna in un singolo quadro, laddove nella bacheca dell’emporio la fotografia in origine si mostrava assieme, saldata a un corpo, in un collettivo. Dall’altra, insieme alla scrittrice Cristiana Pivari, agisce ancora sui visi, elementi centrali nell’espressione delle identità. Questa volta il mascheramento (o la compensazione) spinge le figure, paradossalmente rese anonime, entro un palcoscenico satirico, nel cerchio magico di una serie di aforismi in dialetto: luoghi comuni e stereotipi attribuiti al giudizio, al pensiero, alla voce dei protagonisti; proiezioni “civilissime” (di più, di natura fisica/alimentare), mirate agli aspetti eccezionali delle catture, delle imprese, delle conquiste raccontate nelle loro immagini. Fuori dall’ironia dello scenario, le memorie e le esperienze individuali nell’allestimento valgono e fissano, nel doppio specchio solcato dai fruitori, l’ottone delle coppe esposte frontalmente ai soggetti.
La creatività si palesa nei termini di un controllo nascosto eppure presente nell’arte. Rinnova la Contesa ancor più che morale e artistica culturale, alquanto concreta, fra diverse forme sociali e ideali di umanità. La prima ispirazione rivela le intenzioni: Maffei si muove dall’idea di restituire i ritratti di pesca trasformando, coprendo, sostituendo i soggetti umani (il predatore) con i nomi dei soggetti ittici (le prede). Ribaltando i ruoli, si farebbe dei pescatori altro.
È evidente il risvolto del ridiscutere chi è qualificato (il pescatore) e chi qualifica (il pesce, al contempo vittima e dono). Significa segnalare la fittizia separazione della natura e della cultura e forzare le gerarchie simboliche tradizionali. D’altro canto, l’esibizione vela più di un retroscena; alterate dalla saturazione fotografica nei colori, lasciate ai margini, sfumano particolari indicazioni personali impresse in pellicola: tempi e spazi, date e luoghi; autori, nomi anagrafici e biografie; saperi tecnici; pesi e misure dei campioni. Estraniare origini e contesto, tempo e spazio, da ultima la società, non sempre è una dimenticanza. È l’adozione di una strategia funzionale comune, nei connotati della destoricizzazione, ai topoi narrativi nella caccia romantica e in un moltiplicarsi di frequentazioni contemporanee, di approcci odierni all’ecologia e all’ambiente. Manifestazioni arbitrarie dell’uomo, esclusive, a loro modo elitarie anche quando percepite per elettive, tanto più distanziate (la pesca e l’arte) quanto più simili fra loro. Ed è così che immergendosi nei riflessi si torna a leggere la domanda in apertura, forse con maggiore inquietudine, e un pizzico d’autoironia.
Estraniare lungo le sponde i “dettagli”, da ultimo il corso della società, non sempre è una svista, non è mai una dimenticanza, La mostra Sampei. Liquide vanità, oltre a un pretesto per esplicitare i meccanismi dell’arte, è anche un omaggio. L’artista rinuncia a una posizione di esplicita celebrazione e di denuncia e lascia agli occhi e al cuore di chi guarda il compito di maturare i suoi punti di osservazione. Punti di osservazione derivati da esperienze, storie, sì, ma pure da altro. In quell’Altro Osvaldo Maffei fonda una ricerca estetica che, in ultima analisi, riguarda il rapporto dell’individuo con l’anima di altri individui, con altri soggetti, con altri esseri, con altri oggetti.
Marco Galvagni

“Adesso non potrei più pescare. Non potrei pensare che un essere vivente abbia un amo piantato nella bocca, e che quell’amo glielo ho piantato io. Non potrei sopportare quel dolore che perdura, che con i movimenti inconsulti si aggrava. Non potrei più astrarmi da quella rabbiosa sofferenza. Ma all’epoca non mi facevo questi problemi. Con l’età si diventa più sensibili, nonostante si affermi spesso il contrario. Si è più indifesi. Si pensa alla morte, e quindi ci si vede nei panni incresciosi del pesce.”

da I pesci pescati di Giacomo Sartori
Già prima del XVI secolo, pescatori e cuochi, famosi o meno famosi, come Chistoforo Messisbugo, cuoco dei Duchi d’Este di Ferrara (1548) ed autore della raccolta di ricette Banchetti, compositioni di vivande, et apparecchio generale, hanno apprezzato i pesci dei nostri fiumi e laghi e specialmente quelli del Lago di Garda.
In Trentino anche don Felice Libera, organizzatore della processione del Corpus Christi ad Avio che nel 1766 culminò con un importante banchetto, credette giusto dare rilievo, nelle sue ricette, a pesci “locali” come l’anguilla, il luccio, la tinca, lo storione con le sue uova, il suo “latte” ed il suo fegato, oltre che ai pesci essiccati come lo stoccafisso, e a quelli sotto sale come le aringhe e il baccalà.
Alcune ricette tratte dal suo ricettario manoscritto originale, donato nel 1947 all’Archivio della Biblioteca Comunale di Rovereto dal dottor Ruggero Probizer, sono state suggerite dalla studiosa americana Elisabetta Giacomon Arlanch che vive in Trentino e ha studiato la storia dello stoccafisso.

Ricetta numero 58 – Canedeli di Pesce (Luccio)
Prendete venti oncie di pesce Luccio, levateci tutta la carne senza pelle, e senza reste, e poi pestatela insieme con due uova fritte nel butirro fresco, cipolla, petrosemolo, e mezzo spicchio di aglio; pestato che avrete ogni cosa minutamente, mettetela in una scodella, in cui ci sia stato menato un pezzo di butirro fresco, grosso come due uova; indi aggiungeteci cinque uova, un poco di latte, un pizzico di farina, e pane grattato, e formate una pasta; poscia fate i Canedeli, e metteteli a cuocere nel buon brodo di carne; se poi volete, che vi servino per un giorno di magri, allora fate ad essi un brodo in questo modo; mettete in una padella un pezzo di butirro fresco, cipolla, petrosemolo, e poco farina, e poi fate friggere ogni cosa insieme, ma non tanto; indi versate detta roba nell’acqua, in cui dovete cuocere i Canedeli.
Ricetta numero 271 – Sguazzetto di Tinca
Fate alquanto riscaldare in una cazzaruola dell’olio e butirro fresco in egual porzione; poscia aggiungeteci del petrosemolo trito, aglio e cipolla minutamente tagliata, e fate friggere ogni cosa insieme; indi metteteci dentro la Tinca infarinata e lasciatela friggere da una parte, e poi anche dall’altra; poscia versateci sopra due cucchiai di aceto, vino buono bianco, poc’acqua, zucchero, scorze di limone minutamente tagliate, cannella in polvere, e poco sale: avvertite di tener sempre coperta la suddetta cazzuola, e di lasciarla andare a fuoco lento sino, che sara’ cotta la Tinca, e ridotta a corta Salsa; avvertite inoltre, che le Tinche non vanno rasate col coltello, ma se volete che vengano nette, e belle bianche, dovete passarci sopra gentilmente una paleta, o quasi sotto bollitura, e poi metteteci entro per un momento le Tinche, rasandole dopo con un coltello.

Un dialogo fra pesca e arte sabato nella sede dell’Associazione Pescatori della Vallagarina.
Ad una settimana dalla mostra presso nella sede dell’Associazione Pescatori della Vallagarina, il mondo della pesca si è confrontata con l’arte in un appuntamento organizzato dall’Associazione pescatori dilettanti della Vallagarina. L’occasione è fornita dalla Giornata internazionale del Contemporaneo e dalla chiusura ufficiale della mostra “Sampei, liquide
vanità”, ospitata nelle settimane del Ram Film Festival nella Sala Cento Libri del Museo della Città di Rovereto, con il patrocinio di Castel Belasi. Con l’evento si è inteso proseguire il dialogo aperto dalla presentazione di un insieme di memorie fotografiche e di oggetti conservati all’associazione, tra i quali una serie di campioni ittici in pelle elaborati dal tassidermista Danilo Confortini.

“Sabato nella sede in via Vicenza c’è stata la possibilità di ammirare le dodici splendide e inedite tavole ittiche di Piero Coelli (1893-1991) e di allargare fuori dal Museo la riflessione legata a “Sampei, liquide vanità” grazie alla presenza di esperti in materia, dei soci dell’associazione e di operatori culturali”. L’incontro è stato aperto dai saluti del presidente dell’associazione pescatori Claudio Giordani.

Il fotografo Adriano Frisanco, e Cristiana Pivari collaboratori di Maffei nella rivisitazione delle immagini della mostra, hanno presentato un estratto video dell’allestimento curato dall’antropologo culturale Marco Galvagni. La restituzione delle testimonianze raccolte nel progetto è stata arricchita dal reading di Giovanni Vettorazzo che ha letto un brano biografico dello scrittore Giacomo Sartori e dall’intervento del critico d’arte Mario Cossali. Per la parte zoologica ha partecipato l’ittiologo Ivano Confortini con un
approfondimento sulla pesca e sulla figura e l’attività di tassidermista per il Museo Civico del padre Danilo Confortini (1928-2001).